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I secoli XVII e XVIII: pestilenze, invasioni e rivolte contadine

Nel Corso del 1600 e del 1700 eventi traumatici, come il disastro della Guerra di Cambrai, non si verificarono nella valle e nei circostanti altipiani. Si tenga presente però che la zona era territorio di confine con i feudatari imperiali e direttrice di transito per eventuali eserciti provenienti da nord. E’ facile capire che, anche in assenza di guerre guerreggiate, la vita non doveva trascorrervi quieta. A ciò s'aggiunga la natura aspra e ingrata del terreno e le pestilenze che a ondate giungevano a decimare la popolazione.
Il Pasqualigo, sorridendo sulle amenità circa l' aria di montagna che, fine e salubre, preserverebbe dalle malattie, enumera una tragica serie di contagi che, dal 1400 in poi, infuriarono ciclicamente in zona. Il culmine viene toccato con la pestilenza del 1630 che per poco non rese deserta la vallata.
Fu da quel momento che si cominciò a controllare i passi montani pure con finalità d'ordine sanitario e nel 1636 fecero la loro apparizione i primi «rastreli» al confine; da quel momento fu impedito qualsiasi scambio di natura commerciale nei momenti critici. Venezia, sempre in questi anni, per ragioni sanitarie, mette al bando Schio e il suo contado (a cui Posina apparteneva).
Grazie a provvedimenti come questi, ma soprattutto alle maggiori avvertenze igieniche, la peste scomparve alla fine del '700 per lasciare il posto a tifo, colera e vaiolo che saranno le epidemie tipiche dell' 800.
La povertà e le precarie condizioni di vita in valle si desumono pure dai provvedimenti che la Serenissima prende a favore di queste popolazioni e dalle lotte caparbie tra comune e comune per il possesso di qualche pascolo o area boschiva.
Già agli inizi del '600, Venezia, vista la situazione degli abitanti di queste montagne, esentava Posina, Fusine, Laghi e Cavallara dal dazio sul la macina e nel 1772 dalla tassa del «campatico».
Analogo provvedimento nel 1610 per Tonezza che partecipava dei privilegi concessi ai Sette Comuni. Sono provvedimenti che i locali montanari devono difendere con i denti dall'avidità dei Rettori di Vicenza che, con vessazioni e imbrogli, riuscivano talvolta a farsi versare i tributi.
Per quanto concerne le liti sui pascoli, è da supporre che siano insorte molto prima della divisione del territorio tra i comuni. Le superfici foraggere in valle erano ristrette e bisognava quindi che l'allevamento, a cui era legata la sopravvivenza dei montanari, trovasse sfogo sulle aree pascolive degli altipiani circostanti M. Toraro. Più comunità, pressate dal bisogno, furono perciò spinte a contendersele. Le liti tra Arsiero, Tonezza, Laghi, Posina e Folgaria che, in altri contesti e in un altro settore montuoso, sarebbero passate inosservate, tenevano vigile l'attenzione del Senato Veneziano verificandosi in una delicata zona di confine di alto interesse militare. Dietro le pretese territoriali dei turbolenti signori della Val Lagarina non era difficile individuare la «longa manus» dell'Imperatore tedesco.
Non per nulla la Serenissima inviava a sorvegliare i passi e le valli delle Prealpi Vicentine esperti uomini d'arme tra i quali e rimasto celebre il conte Francesco Caldogno, autore nel 1598 della prima, organica descrizione delle nostre montagne.
L'opera di contenimento dei feudatari imperiali, e in particolare del signore di Beseno, fu continuata con efficacia anche dai suoi successori. Ciò non impediva tuttavia che ferimenti, rappresaglie e razzie di bestiame si verificassero con impressionante frequenza nell'Alpe di Melegna, in Valbona, in Val di Campoluzzo, giungendo, nel 1602, Osvaldo Trapp di Beseno a far scorrerie fino a Tonezza.
Era questa la più esposta e la più indifesa tra le contrade del Territorio Vicentino e, a fine '500, il Caldogno non dava una lira per essa.
La Sentenza Roveretana del 1605, che doveva stabilire confini certi una volta per tutte, segnò solo una breve tregua in questa secolare lotta tra i montanari che era, in realtà, uno scontro fra stati.
Il controllo dei passi prealpini per fini militari conobbe altre perlustrazioni sistematiche e febbrili nella prima metà del '600, in occasione della guerra sostenuta dai Veneziani contro Spagnoli e Imperiali per la successione nel Ducato di Mantova.
Sulle orme del Caldogno, i1 Provveditore ai confini Marco Antonio de Canal ispezionò, in quindici giorni, tutte le Prealpi Vicentine e, in base ai piani redatti antecedentemente dal coadiutore Marcantonio Pogliani, fortifica Arsiero e Velo.
In quel frangente comunque le armate di Ferdinando II passeranno per la Valtellina, ma la tensione ai confini durò a lungo.
Saranno questi gli ultimi ruggiti del leone di S. Marco sulle Prealpi: in seguito non avrà più la forza di impedire le invasioni e i transiti degli eserciti imperiali da nord.
Agli inizi del '700 infatti, l'ormai stanca repubblica, debilitata dalla decadenza del patriziato e dalla lunga lotta col Turco, aveva scarso peso sulla scena europea; non veniva neanche più ammessa alle conferenze internazionali ed a malapena riusciva ad ottenere qualche indennità per il passaggio di eserciti stranieri sul suo suolo.
Fu cosi che nel 1701, in occasione della Guerra di Successione Spagnola, la Val Posina dovette sopportare la calamità di una nuova invasione imperiale. L'esercito dell'imperatore Leopoldo, che doveva congiungersi a Torino con quello sabaudo, scende per la Val Lagarina al comando di Eugenio di Savoia. Un forte contingente superò pure la Borcola e, al comando del conte Palfy, si accampò a Contrà Bezze e Battiston. Nonostante le assicurazioni austriache, gravi furono i danni sofferti dalla popolazione, anche perché il passaggio avvenne a più riprese.
Nei 1717, anzichè versare i promessi risarcimenti, gli Austriaci, andandosene, lasciano in valle la peste.
Furono perciò chiusi i passi e restaurati i fortilizi di Griso, Doppio e Lambre, costruiti nel 1509 a custodia del Passo della Borcola.
A sollevare la popolazione interverrà ancora Venezia riducendo ulteriormente le tasse.
I secoli in esame furono funestati, in Val Posina, Val di Laghi e circostanti montagne, anche dal banditismo che affondava le sue radici nella miseria e nella fame endemica oltre che nella favorevole ubicazione della zona, a ridosso del confine imperiale.
II Pasqualigo, mentre si compiace, a fine '800, delle qualità morali dei valligiani e dell'assenza pressoché totale di fatti di sangue, ricorda i tempi bui in cui non passava settimana che le cronache non registrassero morti per rissa, per una stilettata o per un'archibugiata...
II rev. Lappo Francesco, nel compilare le sue Memorie di Posina, riporta lunghi elenchi di banditi tristemente attivi in valle tra il 1600 e 1700. Godette di particolare notorietà «Posena il Bravo» il cui campo d'azione arrivava fino alle terre di Recoaro, Altissimo e Castelvecchio. Catturato a Campogrosso, fu pubblicamente impiccato per le «canne della gola» a Vicenza, nel 1796.
A fine '700 il banditismo, nelle nostre montagne, assume proporzioni macroscopiche, quasi a sottolineare la situazione di degrado socio-economico e politico in cui la decrepita repubblica era caduta. Ormai inerte e incapace di reagire, sarà travolta dalla bufera napoleonica e diventerà «merce di scambio» nel gioco delle potenze europee.
Fu così che, nel 1797, i Posenati dovranno rendere omaggio ai sopraggiunti francesi ed abbattere con rammarico il vecchio leone di S. Marco; nel 1798, col trattato di Campoformio, diventeranno austriaci; nel 1805 di nuovo francesi e nel 1813 stabilmente austriaci e inseriti nel Regno Lombardo-Veneto. Tutti questi cambiamenti di regime non coinvolsero granchè la vallata e gli altipiani soprastanti, anche se gli scontri tra austriaci e francesi, in Val Lagarina e Val Sugana, si avvertivano paurosamente vicini. Gli abitanti delle contrade prealpine s'accorgevano della guerra soprattutto per il torchio impietoso delle tasse. Furono infatti motivazioni d'ordine economico che provocarono, nel luglio 1809, la furiosa rivolta contadina contro i francesi. All' imposizione della coscrizione obbligatoria e della tassa sul macinato, quando le nostre genti avevano la polenta come cibo base, da Posina, Fusine, Laghi e vallate vicine, i montanari calano su Schio e Thiene al suono delle campane. I più inalberano il vessillo di S. Marco; saccheggiano le case dei filo-francesi; vogliono il ripristino della situazione del 1796. Puntano su Vicenza unitamente ai contadini delle campagne, ma vengono dispersi. I borghesi bempensanti li chiamarono «briganti» e come tali furono ferocemente condannati da tribunali speciali subito allestiti. Ma furono le vessazioni, le vergognose tassazioni e la fame a far muovere gente di per sé pacifica e abituata a subire. Senza capi e senza organizzazione, la loro rivolta si risolse in una fiammata inconsistente.

(testo tratto dalla Guida Escursionistica delle Valli di Posina, di Laghi e dell'altopiano di Tonezza, autore prof. Liverio Carollo, sezione del CAI di Thiene e Sottosezione di Arsiero)

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